Nello Stato della Chiesa, dopo la restaurazione del 1815, l'amministrazione fu riformata e unificata con il motuproprio 6 lug. 1816 di Pio VII che, con l'allegato Riparto territoriale, divise lo Stato in diciassette delegazioni - oltre a Roma e suo distretto - distinte in tre classi, secondo la loro importanza. Le delegazioni di prima classe erano cinque: Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì e, con due capoluoghi, Urbino e Pesaro; alla delegazione di prima classe poteva essere preposto un cardinale, nel qual caso la delegazione assumeva il titolo di legazione ed al cardinale spettavano il titolo, gli onori e le prerogative di legato, che gli erano attribuiti con breve pontificio (art. 1). Sette erano le delegazioni di seconda classe: Ancona, Macerata, Fermo, Perugia, Spoleto, Viterbo, Frosinone. Cinque quelle di terza classe: Camerino, Ascoli, Rieti, Civitavecchia, Benevento. Nella tabella del suddetto Riparto territoriale, si manteneva la consueta denominazione di provincia per designare una zona territoriale che poteva essere più ampia della delegazione, comprendente - come nel caso dell'antica Marca - anche quattro delegazioni. Le delegazioni esistenti nell'ambito di ogni provincia erano: per la provincia di Urbino, la delegazione di Urbino e Pesaro; per la provincia di Romagna, le delegazioni di Ravenna e di Forlì; per la provincia di Bologna, la delegazione di Bologna; per la provincia di Ferrara, la delegazione di Ferrara (tutte delegazioni di prima classe); per la provincia di Marittima e Campagna, la delegazione di Frosinone (di seconda classe); per la provincia della Sabina, la delegazione di Rieti (di terza classe); per la provincia del Patrimonio, le delegazioni di Viterbo e di Civitavecchia (rispettivamente di seconda e terza classe); per la provincia dell'Umbria, le delegazioni di Perugia e di Spoleto (di seconda classe entrambe); per la provincia di Camerino (ma ancora denominata ducato di Camerino), l'omonima delegazione (di terza classe); per la provincia della Marca, le delegazioni di Macerata, di Fermo, di Ancona (tutte di seconda classe) e di Ascoli (di terza classe); per la provincia di Benevento (anch'essa denominata ducato), la delegazione di Benevento (terza classe).
[espandi/riduci]Ogni delegazione - o legazione - era suddivisa in governi, di primo e di secondo ordine (art. 2 ) e i governi, a loro volta, suddivisi in comuni, che potevano avere altre minori comunità appodiate, cioè frazioni che godevano di piccola autonomia. Il distretto di Roma era composto dai luoghi suburbani e dai governi di Tivoli e Subiaco; un organismo a carattere provinciale per il territorio della Comarca di Roma (che comprendeva un perimetro di 40 miglia intorno alla città di Roma nei cui confini aveva piena giurisdizione il senato romano) fu istituito solo nel 1827, con motuproprio di Leone XII del 25 settembre, con la Presidenza di Comarca, che ebbe giurisdizione solo per la provincia di Roma, esclusa la capitale, sino a quando nel 1847 fu trasformata in Presidenza di Roma e Comarca, comprendente dunque anche la città (motuproprio 1° ott. 1847).
Appena un anno dopo, considerata la necessità di rivedere lacune e imprecisioni, con l'editto del segretario di Stato del 26 novembre 1817, fu pubblicato un nuovo Riparto dei governi e delle comunità, nel quale le vecchie province non compaiono più. Lo Stato rimase suddiviso, oltre a "Roma e sua Comarca", in delegazioni di prima, seconda e terza classe, ma le quattro di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna furono già denominate "legazioni", mentre rimase delegazione di prima classe solo quella di Urbino e Pesaro, non essendo stata affidata ad un cardinale. Da questo momento il termine "provincia" fu usato per intendere il territorio di ogni singola delegazione e legazione.
Alle province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì (le "quattro legazioni") fu quasi sempre preposto un cardinale; quando non vi fu un cardinale, vi fu tuttavia nominato un prolegato, mai un delegato. Anche Urbino e Pesaro fu più tardi legazione e così Velletri, quando fu costituita in provincia. Con il Riparto del 1817, come con i successivi riparti o tabelle, furono apportate anche modifiche territoriali nelle circoscrizioni. A Frosinone venne unita Pontecorvo, anche nel nome: delegazione di "Frosinone con Pontecorvo".
Con le riforme di Leone XII, attuate con il motuproprio 5 ott. 1824 (1), le delegazioni non furono più distinte in classi e vennero ridotte a tredici (sempre esclusa Roma e Comarca), essendo state riunite quelle di Macerata e Camerino, Fermo e Ascoli, Spoleto e Rieti, Viterbo e Civitavecchia (art. A1). Rimasero confermati sia il titolo di legazione per le delegazioni affidate ad un cardinale, sia la suddivisione delle delegazioni in governi di primo e secondo ordine (artt. A4 e A5). Come già Urbino e Pesaro, le delegazioni riunite dovevano essere sempre contraddistinte con entrambi i toponimi (art. A2); in un capoluogo risiedeva il delegato, nell'altro un luogotenente, con una certa alternanza (art. A3).
Tre anni dopo, lo stesso pontefice Leone XII, con motuproprio 21 dic. 1827, confermò la ripartizione dello Stato in tredici delegazioni e ripristinò la distinzione in tre classi, con alcune variazioni rispetto al 1816 (artt. 1-4). La Comarca di Roma (divisa in quattro distretti, Roma, Tivoli, Subiaco, Poggio Mirteto, oltre ad alcuni luoghi baronali), cui era preposto un prelato con il titolo di presidente, fu regolata in materia amministrativa come le delegazioni, mentre in materia giudiziaria, con questo stesso motuproprio, ricevette particolari disposizioni (art. 7). Delegazione di terza classe rimase solo la provincia di Benevento, essendo state riunite a delegazioni di seconda classe le altre già di terza, cioè Camerino a Macerata, Ascoli a Fermo, Civitavecchia a Viterbo, Rieti a Spoleto.
Dopo i moti del 1831 e la fine del governo delle Province unite nelle Romagne, Marche e Umbria, furono istituite alcune magistrature provvisorie, i legati a latere in Ancona e Bologna, tornando rapidamente ad una stabile organizzazione con la legislazione del segretario di Stato Bernetti (notificazione 1° giu. 1831). Con l'editto 5 lug. 1831 furono, invece, eliminate numerose modifiche apportate da Leone XII: fu confermata la distinzione delle delegazioni in tre classi e la loro suddivisione in governi, ma fu aumentato il loro numero con il ripristino di Ascoli, Camerino, Civitavecchia, Spoleto, già riunite, rispettivamente, a Fermo, Macerata, Viterbo e Rieti, e con l'istituzione della nuova delegazione di Orvieto, già governo distrettuale della delegazione di Viterbo.
Dal successivo Riparto territoriale del 1833, lo Stato risulta suddiviso in venti province: la Comarca di Roma; le sei legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna, Urbino e Pesaro, Velletri; le tredici delegazioni di Ancona, Macerata, Camerino, Fermo, Ascoli, Perugia, Spoleto, Rieti, Viterbo, Orvieto, Civitavecchia, Frosinone con Pontecorvo, Benevento. Tale suddivisione rimase inalterata sino alla fine dello Stato della Chiesa, poiché la riforma pubblicata dalla Segreteria di Stato con editto 22 nov. 1850, che riuniva le venti province in cinque organismi regionali denominati legazioni, non ebbe pratica attuazione, se non nella Marittima e Campagna. Nel 1849 erano stati invece istituiti, per situazioni particolari, anche i commissariati straordinari delle province, che ebbero competenza sul territorio di più delegazioni e rimasero in vita per vari anni.
La statistica della popolazione alla fine del 1853, pubblicata con il Ripartimento territoriale il 14 nov. 1857, ignorò le cinque legazioni previste dall'editto del 1850, presentando una suddivisione dello Stato in diciannove province o delegazioni oltre a Roma e Comarca: Ancona, Ascoli, Benevento, Bologna, Camerino, Civitavecchia, Fermo, Ferrara, Forlì, Frosinone, Macerata, Orvieto, Perugia, Pesaro e Urbino, Ravenna, Rieti, Spoleto, Velletri e Viterbo.
Per il motuproprio del 1816 ad ogni delegazione era preposto un delegato: doveva essere un prelato (art. 17), era nominato con breve del sovrano (art. 18) ed era assistito da una congregazione governativa e da un segretario generale della delegazione.
Il delegato era il capo della provincia sotto l'aspetto politico amministrativo; aveva giurisdizione su tutti gli atti di governo e di pubblica amministrazione, nonché in materia giudiziaria penale; era infatti presidente del tribunale criminale della delegazione (art. 77) ed aveva alle proprie dipendenze due assessori con competenze sia amministrative che giudiziarie (art. 7). Erano esclusi dalla sua giurisdizione il potere giudiziario nelle materie civili (art. 24), gli affari ecclesiastici e quelli spettanti al pubblico erario (art. 6). Ebbe più ampie attribuzioni in materia di strade e di acque a seguito del motuproprio di Pio VII del 23 ottobre 1817, che istituì presso ogni delegazione l'ufficio dell'ingegnere in capo provinciale.
L'esclusione della funzione giudiziaria civile dai poteri del delegato fu il primo atto della separazione del potere giudiziario da quello esecutivo, che fu poi attuata gradualmente nelle principali magistrature periferiche sino alla codificazione di Gregorio XVI con i regolamenti giudiziari del 1831, 1832 e 1834.
Con il motuproprio 5 ott. 1824, Leone XII stabilì che i delegati non dovessero essere nativi della delegazione loro affidata, né risiedervi da lungo tempo (art. 12). Con lo stesso atto fu ordinato che il delegato di due province riunite risiedesse in uno dei due capoluoghi, ma dimorasse per un certo tempo, secondo le circostanze, anche nell'altro, nel quale fu istituito un nuovo ufficiale, il luogotenente (art. 3).
Dopo le vicende del 1831, l'editto del 5 luglio, pur ritornando per lo più alle norme del 1816, separò nelle province il potere politico ed amministrativo da quello giudiziario: il delegato non era più il presidente del tribunale criminale (titolo I, art. 6), ma poteva solo, volendo, presiedere alle sedute del tribunale, senza diritto di voto. Alle dipendenze del delegato rimase un solo assessore legale, in luogo dei due precedenti assessori (tit. I, art. 7). Inoltre l'editto stabilì che il delegato fosse il presidente dei consigli provinciali, organi di nuova istituzione (tit. III, art. 1).
Scarse furono le modifiche apportate dall'editto Antonelli del 22 novembre 1850 (artt. 23-29 relativi alle delegazioni, per le quali venne usato il termine province come sinonimo), che ribadiva l'attribuzione al delegato dell'autorità governativa ed amministrativa nella sua provincia (art. 24), con esclusione delle funzioni giudiziarie.
(1) Il motuproprio del 1824 è suddiviso in due parti: la "Riforma del sistema dell'Amministrazione pubblica" in 186 articoli e la "Riforma della Procedura civile" in 1129 articoli; seguono le "Tasse dei giudizi". Per questo si indicano con la lettera A gli articoli della prima parte, con la P quelli della seconda.
Contesti storico-istituzionali di appartenenza:Profili istituzionali collegati:Soggetti produttori collegati:Redazione e revisione:- Altieri Magliozzi Ezelinda, revisione
- Lodolini Tupputi Carla, prima redazione
- Santolamazza Rossella, redazione centrale SIAS, 2018/02/23, revisione