L'Opera nazionale per la protezione della maternità e infanzia (ONMI) fu istituita come ente morale, con sede in Roma, sottoposta all'alta vigilanza del Ministero dell'interno, con la legge 10 dicembre 1925, n. 2277, poi modificata dal regio decreto del 21 ottobre 1926, n. 1904 e dalla legge del 13 aprile 1933, n. 298.
Secondo l'art. 3 della legge 2277/1925 "in oggi Provincia è costituita, fra tutte le istituzioni pubbliche e private aventi per fine la protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia, una federazione diretta da un Consiglio composto dal presidente e otto consiglieri, scelti, tra i presidenti e i direttori delle istituzioni federate, dalla Giunta esecutiva dell'Opera nazionale. Del Consiglio fa parte, di diritto, il medico provinciale e un ispettore scolastico. Il presidente e i consiglieri durano in carica un quadriennio e sono rieleggibili. I componenti che, senza giustificati motivi, non intervengano a quattro sedute consecutive, decadono dalla carica. La decadenza è dichiarata dal Consiglio stesso e la dichiarazione può essere promossa dall'Opera nazionale. Il Consiglio ha sede in locali gratuitamente forniti dalla Provincia."
[espandi/riduci]Alla Federazione provinciale era affidato il compito di eseguire le disposizioni impartite a livello nazionale dagli organi centrali dell’ONMI e di dirigere e coordinare le attività dei Comitati di patronato che, in base agli artt. 10 e 11 della medesima legge, erano istituiti in ogni comune, con sede in locali forniti ed arredati gratuitamente dallo stesso comune. Al Comitato era attribuito il compito di organizzare e attuare l'assistenza della maternità con ambulatori specializzati, adoperandosi perché le madri allattassero i loro figli e perché questi fossero sorvegliati e curati nel periodo dell'allattamento e dopo lo svezzamento, anche con l'aiuto di infermiere retribuite dall'Opera nazionale e da visitatrici volontarie. Doveva inoltre: esercitare una vigilanza igienica, educativa e morale sui fanciulli minori di quattordici anni, collocati fuori della dimora dei genitori o tutori, presso nutrici o istituti pubblici o privati di assistenza e beneficenza e provvedere all'assistenza, al ricovero, all'istruzione e all'educazione dei fanciulli abbandonati; curare l'assistenza e la protezione dei minori anormali e dei minorenni materialmente o moralmente abbandonati, esercitando, in concorso con le congregazioni di carità locali, le attribuzioni previste dall'art. 8 della legge 17 luglio 1890, n. 6972; vigilare sugli adolescenti, denunciando all'autorità giudiziaria fatti che potessero importare la perdita della patria potestà, della tutela legale e della qualità di tutore e curare la legale rappresentanza dei minorenni; denunciare fatti in contrasto con la legge sul lavoro dei fanciulli e con altre disposizioni emanate a loro tutela; assumere le iniziative necessarie per la protezione e l'assistenza della maternità e infanzia nei singoli comuni e promuovere presso i Prefetti i provvedimenti di cui all'art. 27 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 2841 (R.D. n. 2316/1934, art. 13). Per la vigilanza sopra indicata, una persona che allevasse o custodisse un minore fuori della dimora dei genitori o del tutore, doveva farne dichiarazione al locale Comitato di patronato, comunicando anche eventuali cambiamenti di residenza o eventuale morte o ritiro del minorenne. Anche gli istituti pubblici o privati di beneficenza e assistenza dovevano comunicare al Comitato l'elenco dei fanciulli ricoverati, di quelli affidati a privati allevatori e dovevano notificarne l'eventuale dimissione (art.20).
Sempre a norma della legge n. 2277/1925, il Comitato di patronato era composto da membri di diritto e da altri membri, scelti dal presidente della Federazione provinciale tra persone di indiscussa probità ed esperte in materia di assistenza materna ed infantile, che si avvalevano dell'opera del segretario e degli altri impiegati del comune. Secondo il dettato del R.D. n. 2316/1934 erano patroni di diritto: il segretario del Fascio di combattimento o un suo delegato, un magistrato o un conciliatore designati dal presidente del Tribunale, l'ufficiale sanitario del comune, il presidente della Congregazione di carità, il direttore didattico o un maestro, un sacerdote avente cura delle anime e designato dal Prefetto e la segretaria del Fascio femminile. I patroni potevano richiedere il diretto intervento degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e degli ispettori corporativi. I patroni non diligenti o che non eseguivano gli incarichi ricevuti decadevano dalla carica. La decadenza era pronunciata dal Consiglio direttivo della Federazione provinciale su proposta del presidente. I patroni dovevano, con l'assistenza delle autorità di pubblica sicurezza, ritirare e collocare il minore in luogo sicuro, quando fosse allevato in locali insalubri o pericolosi, o da persone che non fossero capaci di provvedere all'educazione e istruzione. Potevano allontanare i minori anche nel caso in cui le nutrici, gli allevatori, gli amministratori e i direttori degli istituti si fossero opposti alle loro visite. I patroni erano considerati a tutti gli effetti come pubblici ufficiali.
Nei comuni nei quali occorresse costituire più di un Comitato, secondo la legge n. 2277/1925 il numero di tali comitati e dei componenti di ciascuno di essi erano stabiliti, per ogni comune, secondo la rispettiva popolazione, dal Consiglio direttivo della Federazione provinciale, con deliberazione approvata dalla Giunta esecutiva dell'Opera nazionale. Invece, secondo il R.D. n. 2316/1934, i componenti dei Comitati aggiunti erano nominati dal Comitato, cui spettava determinare, con deliberazione approvata dal Consiglio direttivo della Federazione provinciale, il numero dei Comitati aggiunti e dei rispettivi componenti. La nomina dei patroni e delle patronesse non di diritto e dei componenti dei Comitati aggiunti doveva essere ratificata dal Consiglio direttivo della Federazione provinciale (R.D. n. 2316/1934, art. 11). Per il R.D. n. 2316/1934 il podestà o suo delegato era di diritto presidente del Comitato di patronato; per assenze o impedimenti veniva sostituito dalla segretaria del Fascio femminile. Le nomine del presidente e del vice-presidente dei Comitati aggiunti erano fatte, rispettivamente, dal podestà e dalla segretaria del Fascio femminile, con la ratifica del Consiglio direttivo della Federazione provinciale (art. 11); le cariche erano gratuite (art. 16).
La legge 1° dicembre 1966, n. 1081 dettò nuove norme per l'ordinamento dell'ONMI a livello nazionale, provinciale e locale, stabilendo che la Federazione provinciale fosse sostituita da un Comitato provinciale, composto da membri del Consiglio provinciale, da esperti da esso designati e da rappresentanti di professioni e istituzioni mediche e assistenziali. L' art. 3, in particolare, oltre al mutamento di denominazione del Comitato di patronato in Comitato comunale, ne previde una diversa composizione: esso era composto infatti dal sindaco o da un consigliere comunale, da lui delegato, con l'incarico di presidente; da tre consiglieri comunali, di cui uno di minoranza, designati dal Consiglio comunale; da due membri designati dal Comitato provinciale; da due membri designati dal Consiglio comunale tra esperti di problemi assistenziali, di cui uno espresso dalla minoranza; dal presidente dell'Ente comunale di assistenza; dall'ufficiale sanitario o, in mancanza, da un medico condotto designato dal sindaco; da un ispettore scolastico o un direttore didattico o un insegnante elementare designato dal provveditore agli studi; dal presidente del patronato scolastico; da un sacerdote designato dall'Ordinario diocesano competente per territorio; da un medico esperto in materia di assistenza nominato dal medico provinciale. Le funzioni di segretario erano esercitate da un impiegato del comune.
La legge 23 dicembre 1975, n. 698 sciolse e trasferì le funzioni dell'ONMI e dunque dei Comitati comunali alle regioni, compresi i poteri di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e protezione della maternità e dell'infanzia previsti dall'art. 5 del R.D. n. 2316/1934. A norma dell'art. 10, il fondo destinato all'Opera nazionale e ai suoi organi locali venne ripartito tra le regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, nonché tra le province di Trento e Bolzano, sentita la commissione interregionale di cui all'art. 13 della L. 16 maggio 1970, n. 281, con decreto del Ministro per il tesoro, in proporzione alla spesa mediamente sostenuta dall'ONMI nel triennio 1973-75 in ciascuna delle regioni. Le regioni, con legge di bilancio, dovevano assegnare alle province ed ai comuni le somme necessarie all'esercizio delle funzioni ad essi attribuite. Il Ministro per il tesoro era autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Inoltre l'art. 11 stabiliva che le regioni, le province ed i comuni si sarebbero sostituiti all'ONMI, ai suoi organi centrali e periferici, in tutti i rapporti giuridici nascenti da convenzioni relative ai servizi di assistenza espletati dall'ente. La medesima legge n. 698/1975 disponeva che restassero attribuite allo Stato e venissero esercitate dal Ministero della sanità le funzioni di carattere internazionale già esercitate dall'ONMI.
(tratto da fonti normative)
Soggetti produttori collegati:Redazione e revisione:- Santolamazza Rossella, redazione centrale SIAS, 2022/05/17, supervisione della scheda
- Scheda duplicata dal SIUSA